«Gli utilizzatori di software open source sono una minaccia per la nazione». Questo è quello che pensa la IIPA (International Intellectual Property Alliance) che in un documento indirizzato al ministero del commercio americano ha consigliato l´inserimento in una speciale lista di sospetti violatori di copyright (la Special 301) alcuni stati, come il Brasile e l´India, poiché usano software open source.
La richiesta, riportata dal giornale britannico The Guardian, è a dir poco fuori luogo e fuori dai tempi e parte dall´assurdo che l´utilizzo di software free e open source si indice di violazione del copyright di software proprietario.
Un assunto assurdo (scusate il gioco di parole) poiché proprio il software FOSS permette la riduzione della pirateria nei paesi più poveri, che grazie a Linux e OpenOffice (per citarne solo alcuni) possono permettersi il "lusso" di non piratare costosi software proprietari.
La presa di posizione della IIPA sembra dovute anche ad un´altra motivazione. La Special 301 implica alcune restrizioni sul commercio tra gli Stati Uniti e gli stati inseriti nella lista. Queste restrizioni sono usate dalla IIPA come strumento di leva per far sì che alcuni stati inseriscano nei propri ordinamenti leggi simili al DMCA, la famigerata legge americana sul copyright che permette la rimozione di contenuti pubblicati, al solo sospetto che questi siano opera di una violazione del diritto d´autore.
Il tutto a tutela di lobby troppo aggrappate ad un anacronistico status quo per comprendere il valore economico del software aperto e della condivisione della conoscenza.