Ecco, lo so che con questo post mi guadagnerà le antipatie di quei pochi che ancora mi salutavano ma non riesco a farne a meno.
Si parla tanto sul Web del libro "Il computer invisibile" di Donald Norman, per alcuni concetti importanti che lo stesso ha diffuso mediante questo ed altri suoi scritti. Il libro, per altro, rientra tra quelli che molti docenti universitari fanno leggere ai propri allievi.
Ho iniziato a leggerlo, sono arrivato a metà , ho controllato velocemente il seguito ed ho interrotto, cosa fatta rarissimamente in vita mia (non si arriva ad una mano, contandole). Perché?
Il concetto del computer invisibile e dellÂ’infodomestico di cui Donal Norman ci scrive è sicuramente importante. Un computer (con tutto il corredo software del caso) dovrebbe essere progettato in modo da potersi impiegare in modo quasi automatico, senza doversi concentrare sullo strumento, invece che sul compito. Siamo molto lontani da cià, invece.
Allo stesso modo, è importante la necessità che gli strumenti informatici destinati agli utenti (lasciamo quindi perdere switch, router, firewall e diavolerie simili) siano progettati da psicologi, non da tecnici. I tecnici dovrebbero progettarli per gli aspetti sistemistica profondi e poi farli realizzare. Purtroppo cià non avviene e ci ritroviamo con dispositivi che necessitano di un manuale di 200 pagine perché si utilizzino al 50% delle loro possibilità . Ci ritroviamo con cellulari che per rifare lÂ’ultima telefonata necessitano della pressione di 5 tasti.
Quando capiremo che una interfaccia deve consentire lÂ’uso immediato e trasparente di un dispositivo senza richiedere alcun apprendimento (o limitato al minimo), forse ci evolveremo verso un livello superiore.
Ancora, è importantissimo che i prodotti abbiamo una valenza applicativa prima che tecnica. LÂ’esperienza ci ha insegnato innumerevoli volte che un prodotto super-tecnico, dalle performance ai massimi livelli, con potenzialità mostruose, normalmente fallisce e finisce in qualche museo dove sarà ricordato come "the must". Invece, saranno commercializzati e faranno successo quegli strumenti che in modo facile ci consentono di fare cià che ci serve.
Lasciamo perdere il fatto che siate o no dÂ’accordo con Donald Norman o no (ed io lo sono). Il punto non è questo. Anche dando come premessa che tutto cià sia giusto, vorrei far notare alcune cose.
Considerazione 1. Queste cose si dicevano anche in Italia, a Milano, negli anni 80. Io cÂ’ero e posso testimoniarlo. Mi occupavo di progettazione, programmavo in C, realizzavamo interfacce operative sia per il software, sia per strumentazione elettronica.
Se, però, se ne parlava in Italia, considerata la storica arretratezza del "bel paese", è lecito pensare che negli USA se ne parlasse già da dieci o venti anni (la lavatrice era già cosa standard nelle case americane degli anni 30!) In sostanza, si parla di un tema vecchio.
Considerazione 2. Se si prende il libro e si tolgono le ripetizioni, restano dieci pagine di contenuto. Provate voi, se non ci credete. Il libro è di una noia mortale, non perché lo sia il contenuto, ma perché continua capitolo per capitolo a ripetere le stesse cose. Come se una volta letta una frase, fossimo così idioti da doverla rileggere in cento pagine ancora, per capirla.
A questo punto mi chiedo come mai questo libro sia così famoso e citato e mi vengono in mente alcune possibilità .
Prima. Non cÂ’è altro.
Seconda. Con lÂ’avvento di Internet, in termini di interfaccia siamo tornati venti anni indietro, quindi cÂ’è bisogno di rispiegare quello che si spiegava già dieci anni addietro.
Terzo. Donald è famoso (beato lui) ed è diventato il Peter Norton che i vecchietti degli anni 80 probabilmente ricorderanno. Qualunque cosa scrivesse, dato che lÂ’aveva scritta lui, si vendeva.
Quarto. Ha proprio ragione lui e siamo noi ad aver bisogno che qualcuno ci ripeta per cento volte la stessa cosa, prima di capirla. Inoltre a distanza di qualche decennio, abbiamo bisogno che ci si ridica la stessa cosa, altrimenti ci scordiamo.