Lo scorso anno, durante l'evento MAX Creativity Conference, Adobe aveva lanciato la Content Authenticity Initiative con lo scopo di implementare uno standard per l'attribuzione dei contenuti digitali. L'idea alla base del progetto era, ed è, quella di realizzare un sistema in grado di accertare la provenienza e la cronistoria di un media digitale, mettendo così a disposizione dei creator un sistema con cui rivendicare la proprietà di un contenuto e aiutando gli utenti a valutare quanto esso possa essere ritenuto affidabile.
Come funziona un Content Authenticity tool
A livello pratico la Content Authenticity Initiative può essere riassunta nell'inclusione di metadata a prova di falsificazione consultando i quali sarebbe possibile comprendere se un media è autentico o frutto di manipolazione tramite Photoshop. A partire da questi presupposti sono nati i Content Authenticity tool proposti sotto forma di anteprima nel corso della MAX 2020 che, neanche a dirlo, si è svolta unicamente online.
Per la realizzazione di questo strumento, sviluppato nel contesto della suite Creative Cloud che oggi comprende una trentina di applicazioni, è stata sperimentata l'integrazione in Photoshop e Adobe Behance, un network di siti Internet e servizi Web based finalizzato all'auto-promozione e gestito dalla stessa casa di San Jose che raccoglie contenuti dal novembre del 2005. Grazie ad esso i creator possono corredare un'immagine di informazioni accessorie riguardanti l'autore della stessa, la cronologia delle modifiche effettuate (anche da più autori) e thumbnail che certifichino gli interventi effettuati.
Se per esempio un'immagine dovesse essere alterata aggiungendo in essa elementi ritagliati da un altro contenuto, i Content Authenticity tool dovrebbero fornire tutti i dettagli necessari per risalire a tale modifica. L'integrità delle informazioni incluse dovrebbe essere assicurata da un sistema crittografico di firma digitale basato sulla stessa tecnologia deputata a gestire il meccanismo di autenticazione utilizzato da chi la firma l'ha apposta, nel contempo la permanenza dei dati sul Cloud dovrebbe garantirne la disponibilità nonostante eventuali tentativi di manipolazione. Il diagramma seguente riassume le fasi che consentono il funzionamento del sistema.
Limiti della Content Authenticity Initiative
Come ammesso dalla stessa Adobe in un white paper appositamente dedicato alla Content Authenticity Initiative, per l'efficacia di un sistema come quello descritto è necessaria un'adozione diffusa degli standard CAI, attualmente invece il progetto si troverebbe ancora allo stato embrionale e gran parte dei workflow non sarebbero ancora CAI compliant, sia dal punto di vista del software che da quello dell'hardware, soprattutto a causa dell'impiego di sistemi legacy.
A ciò si aggiunga che per il momento l'adesione al sistema è di fatto volontaria, per cui l'autore di un'immagine fake potrebbe semplicemente ricorrere ad un opt-out per escludere il proprio elaborato dai metadata. In questo caso potrebbero non essere protette tutte quelle immagini per le quali gli autori hanno deciso di includere metadati CAI ma di consentire l'editing.